La coppia utile di Paolo Menghi

“Non conviene far riferimento a un modo di vivere in coppia migliore di un altro, ma alla
continuità di un processo dove un tipo di rapporto può in un caso rappresentare una
dimensione da acquisire, in un altro una dimensione da lasciare. Lungo il processo
evolutivo abbiamo bisogno infatti di esperienze relazionali diverse, che vanno a nostro
vantaggio o svantaggio in rapporto al tempo in cui avvengono. Può quindi essere più
sensato chiedersi se la relazione di coppia in cui viviamo sia di qualche utilità nel favorire il
nostro sviluppo psichico, e se le modalità con cui questa relazione si esplica avvengano
nell’interesse della nostra evoluzione o no.” PM

LA COPPIA UTILE
Paolo Menghi
Testo integrale pubblicato nel 1987
Chi vive in coppia si chiede spesso se la relazione con l’uomo o la donna che ha scelto
abbia senso. Porsi questa domanda non serve a molto.
Più vantaggioso sarebbe chiedersi se sia di qualche utilità nel favorire il proprio sviluppo
psichico.
Quante volte succede di guardare il partner con insistente perfidia, pensando: “Chi me lo
fa fare di stare con lui/lei?”.
Sarebbe meglio chiedersi: “è utile, o no?”
E’ utile se si ha il coraggio di desiderare veramente una risposta. Meno utile se quella
domanda è solo un tentativo di colpevolizzare l’altro. Il punto nodale non è tanto quel che
si fa, ma la consapevolezza che si ha a riguardo. Significa che un comportamento è utile
se si è in grado di accorgersi di quel che si sta facendo e quindi di scegliere come
indirizzare il proprio agire: stare con quella persona o andarsene, accettando in ambedue i
casi le conseguenze. Il punto è che non si vuole pagare il prezzo delle proprie scelte.
Allora si preferisce usare un’altra possibilità: parlarne. E a parlare si può andare avanti una
vita.
Una relazione di coppia può rappresentare, per i due membri che la compongono,
un’opportunità incredibile di evoluzione individuale. Naturalmente bisogna che la relazione
duri abbastanza, perché questa opportunità sia utilizzata al meglio.
Quali sono gli elementi presenti in ogni relazione di coppia che possono essere utilizzati a
vantaggio della crescita dei due individui che la compongono?
Cominciamo dall’inizio, l’innamoramento.
L’innamoramento è il momento in cui uno vede nell’altro quelle polarità di sé che non può
vedere in se stesso. La polarità sessuale opposta, per esempio. Ogni essere è costituito
da polarità opposte, con in mezzo una infinita gamma di approssimazione all’una e
all’altra. L’universo intero è costituito da polarità. Energia e materia, protone e elettrone,
attrazione e repulsione, attività e passività. L’innamoramento è la possibilità di amare ciò
che non è permesso amare in se stessi, perché incompatibile con l’immagine di sé che si
è strutturata.
Quasi sempre si è convinti che tra due valenze opposte, una  sola sia presente, invece
ambedue sono potenzialmente presenti, ma soltanto una viene privilegiata nel suo
palesarsi. Ognuno cerca sempre di uscire dall’ansia provocata dall’attrito tra le infinite
polarità di cui è fatto, per cui si sforza di semplificare la realtà, eliminando una delle due
valenze.
Nella coppia allora si crea uno strano gioco in cui si attribuiscono all’altro le proprie idee,
immagini e funzioni che mal si integrerebbero con l’immagine di sé. Questa proiezione può
avvenire con i meccanismi dell’odio e dell’amore.
Nell’innamoramento prevale il secondo.

L’innamoramento, si sa, fa perdere la testa. Si perde la testa per aprire il cuore. Il cuore si
apre solo se la testa non controlla perdendo la capacità di analisi e di strutturazione logica,
che fornisce una visione limitata della propria identità, che impedisce ad oggetti non
ancora integrabili di entrare in contatto tra di loro.
Ma questa necessaria cecità è anche una limitazione della coscienza, ed ogni limitazione,
genera sempre sofferenza. E’ proprio con questa sofferenza che si entra in contatto
nell’innamoramento. Siccome si è riusciti a mettere su di un’altra persona esigenze di
completamento che altrimenti non si sarebbero potute soddisfare, l’assenza
dell’innamorato fa subito sentire la mancanza di qualcosa di vitale. Quel senso di vuoto
preesisteva, ma si poteva far finta di niente; adesso, con la scusa che è qualcosa che
appartiene all’altro, ci si può entrare in contatto. In questo modo due mondi
potenzialmente presenti dentro di sé possono incontrarsi.
Da questo punto di vista potremmo vedere l’innamoramento, la sensualità, la sessualità
stessa, come funzioni adatte ad evitare gli attriti che si sprigionerebbero in questo
incontro. Ma se l’incontro ha lo scopo di espandere la consapevolezza individuale, le
diversità rappresentano il vero motivo della scelta reciproca, non l’innamoramento, quello
viene dopo, per consentire l’incontro.
Innamoramento, emotività, sensualità, sessualità, consentono così di ridurre l’influenza
che la parte strutturata della personalità esercita sulla disponibilità al cambiamento. Un po’
come la mantide religiosa: la femmina mangia la testa del maschio e questo permette la
copula, la congiunzione di due entità distinte, la creatività biologica.
Durante l’innamoramento nella specie umana, ci si mangia la testa a vicenda, e la
creatività che ne può scaturire non è solo biologica.
Così oggetti che al proprio interno appartengono a sistemi separati e incomunicabili,
possono, in virtù di particolari stati d’animo, unirsi e comunicare. E questo è vero anche
per il contrario: ciò che era unito potrà essere diviso. Infatti non esiste innamoramento
senza trasgressione di una differenza.
Nei termini dello strutturalismo di Lévy-Strauss l’innamoramento instaura infatti un altro
sistema di differenze e di scambi. Senza la differenza con cui ricongiungersi, senza
l’ostacolo da superare non ci sarebbe alcun bisogno di instaurare un nuovo sistema di
differenze e di scambi, cioè di fondare un’istituzione di coppia.
In questa fase della vita di coppia ciascuno cerca di valorizzare la parte migliore di sé,
quella che sente più vera. Che cosa significa più vera? Niente!
Ma ognuno ha sempre in serbo una parte più vera quando è innamorato. Allora può
accadere che l’altro colga un ulteriore aspetto della propria personalità e lo riveli. Poiché in
questa fase si è emotivamente ben disposti nei suoi confronti è possibile adottare il suo
punto di vista e, di conseguenza, modificare l’immagine che si ha di sé. Proprio il desiderio
di piacere all’altro, porta a cambiare se stessi. Questa nuova immagine non è certo più
vera della precedente, ma ha il vantaggio di essere differente, e questo dà la possibilità di
scoprirsi diversi, senza paura. Ciò fa vacillare quell’idea di identità stabile, dietro la quale ci
si poteva nascondere. Dà la possibilità di credere un po’ meno all’idea di “giusto” e
“sbagliato”.
Qual è la differenza tra il primo stadio, l’innamoramento, e il secondo, l’amore?
Nel primo stadio la forza di attrazione, che apre al senso di armonia totale, fa rischiare di
spiccare il volo.
Nel secondo si deve ridiscendere a fare i conti con una complessità sbrigativamente
liquidata. Non si vola se si pesa troppo e la zavorra era stata buttata a mare. Ora bisogna
andare a ripescarla. Nella prima fase il centro del cuore si era cominciato a aprire,
eliminando la testa, nella seconda c’è l’opportunità di mantenerlo aperto nonostante la
testa abbia ripreso a funzionare.
Amore è quando il cuore resta aperto nonostante la testa funzioni.

Non utilizzare questa fase, significa non permettere un’evoluzione. “Niente più testa, è
troppo bello senza!”. Che tradotto vuol dire: “Niente più limiti”. Oppure: “Niente cuore, mi
piace sapere dove cammino”, cioè “Troppi rischi”.
Di solito il ricordo del passaggio tra la prima fase e la seconda, è che ciò sia avvenuto a
poco a poco, riempiendo gli spazi del quotidiano. Si dimentica che la serenità è il frutto di
vicende drammatiche di cui fino all’ultimo non si conosce il risultato: le crisi.
Crisi, dal greco: separazione, scelta. Dove separarsi comporta inevitabilmente delle scelte,
e scegliere significa necessariamente separarsi da qualcosa. In virtù di un rapporto che
interessa si devono accettare dei compromessi, separandosi da parti di sé a cui si è
tremendamente attaccati.
Ma anche quando la relazione si spezza e si sente di non avercela fatta, il ricordo di quella
fase cancella le prove attraverso cui si era passati. Non si ricorda di avere fallito una
prova, ma semplicemente che l’altro non amava abbastanza.
Ma ritorniamo alla seconda fase.
Adesso la persona, che prima appariva come risposta alle proprie limitazioni, si sta
trasformando in un tiranno.
Un tiranno spesso meschino e quanto mai potente. E’ incredibile come anche persone
intelligenti si ostinino a sperare di non incorrere in questa fase, e quando l’attraversano
insistano a pensare che si tratti di una malaugurata sfortuna.
Non lo è affatto, anzi, se l’obiettivo è  conoscenza, questo tiranno è in realtà proprio quello
di cui c’era bisogno.
Per le inconsapevoli attrazioni generate dalle esigenze di cambiamento, di cui si è parlato
prima, si era scelto il proprio “avversario” e ci si trova quindi a combattere una battaglia
proprio con la persona più competente nel farla perdere.
Ma non basta trovarsi nel bel mezzo di una battaglia per essere dei guerrieri. Guerrieri si
diventa. Ovviamente la guerra è già dentro di sé, altrimenti non la si porterebbe fuori.
La battaglia fra due fazioni non è tutto il problema, ma ne rappresenta una fetta
importante, perché questa guerra genera attrito, l’attrito genera calore, il calore, oltre una
certa temperatura, genera sofferenza, e la sofferenza spinge a risolvere le condizioni che
l’hanno generato, condizioni che sono legate all’ignoranza.
Ci sono diversi tipi di tiranni: il proprio tiranno sarà quello che nel modo più specifico,
meschino e doloroso riuscirà a toccare i propri punti più sensibili. Ma ci si può chiedere
allora: perché sono così sensibili questi punti? Tutto il problema nasce dal senso di
importanza personale, dall’identificazione con la propria personalità. E’ questa il maggior
sostegno ma anche il peggiore nemico. Colui o colei che la minacciano, dopo le prime
sottintese promesse di sostenerla, possono essere visti non più come nemici, ma come
utili collaboratori al proprio progetto evolutivo. L’attaccamento alla propria personalità
rende permalosi e vendicativi, in modo particolare quando l’offesa viene dalla persona che
si credeva alleata nel difenderla.
La personalità da un lato è il nucleo di tutto ciò che di sé ha un valore, dall’altro il nucleo di
tutta la propria infelicità, e questa non deriva tanto da come è costruita, ma
dall’attaccamento ad essa.
Personalità deriva da persona, e persona, in etrusco, significa maschera. Lungo il
cammino evolutivo si è costretti a costruire molte maschere e a indossarne altrettante, ma,
poiché si è identificati in esse, vengono confuse con la propria identità.
Identità vuol dire “proprio quello”, il punto centrale, cioè la perla della conchiglia. Intorno ad
essa, si è costruita la personalità a cui poi ci si lega: che venga amata o odiata poco
importa, perché in ogni caso c’è molto attaccamento ad essa.
Quindi se non si vuole opporsi, ma collaborare alla propria crescita, non c’è altra via che
favorire la perdita del proprio attaccamento ad una personalità che non potrà mai
rappresentare la persona per intero, e ciò può essere fatto con il valido aiuto dell’altro.

La personalità, d’altronde, è l’unica cosa di cui si dispone, all’inizio, per lavorare in questo
senso. Si tratta allora di usarla consapevolmente verso un obiettivo prestabilito. Così come
non ha senso continuare a cercare all’esterno conferme alla propria personalità, non ha
senso tentare di distruggerla. Bisogna imparare piuttosto ad incanalarla. La relazione di
coppia può aiutare moltissimo in questo senso. Questa scelta, abbastanza semplice da
formulare, è possibile, ma tante volte ci si sforza di cercare cose difficili da capire, per
evitare di rendersi conto che le cose utili sono quelle difficili da fare. Chi ce la fa ad
arrivare a questa seconda fase della vita di coppia, deve sapere che se riuscirà a
vedersela con il tiranno che si è scelto, sarà certamente in grado di far fronte all’ignoto
dentro di sé senza pericolo e potrà sopravvivere a quanto scoprirà man mano.
Nulla può temprare lo spirito come trattare con persone impossibili in posizione di potere,
e il proprio marito o la propria moglie lo sono spesso. Le mogli e i mariti che invece
soccombono al tiranno che si sono scelti, non saranno feriti dall’altro, ma dal loro
personale senso di fallimento.

Le soluzioni a questo stato sono:
1. Decidere una separazione.
2. Ritornare al combattimento con lo stesso tiranno, ma con maggiore giudizio.
Una volta ancora non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Tutto questo lavoro comporta il “rischio” di trarre vantaggio dalla situazione in cui ci si
trova. Il rischio di restare svegli.
Non si vuole correre questo rischio? Niente problemi, ecco la ricetta in quattro
comandamenti:
1. Usa tua moglie o tuo marito come pattumiera di tutte le funzioni in cui non
gradisci riconoscerti, e continua a pensare che riguardino solo lui (o lei).
2. Usa la persona che ti sei scelto, per confermare la tua personalità.
3. Non cercare mai di conoscere l’altro, perché altrimenti ti avvicineresti alla tua
identità.
4. Continua a confondere la personalità con l’identità.
L’immagine stereotipata che ci si farà dell’altro, sarà così la più adatta per mantenere i
propri convincimenti.
Imparare a guardare l’altro nella coppia, significa invece imparare a guardare se stessi;
ma l’uno che guarda se stesso diviene soggetto e oggetto, e questa è la dualità per cui
ogni forma può essere conosciuta.
La coppia utile, Testo integrale pubblicato nel 1° capitolo degli atti del convegno “La
coppia in crisi” del 1987, © Paolo Menghi – Per gentile concessione della Famiglia Menghi

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